Lo spiraglio dell’alba respira con la tua bocca in fondo alle vie vuote. Luce grigia i tuoi occhi, dolci gocce dell’alba sulle colline scure. Il tuo passo e il tuo fiato come il vento dell’alba sommergono le case. La città abbrividisce, odorano le pietre ‒ sei la vita, il risveglio. Stella sperduta nella luce dell’alba, cigolio della brezza, tepore, respiro ‒ è finita la notte. Sei la luce e il mattino.
Io grido a te pietà, pietà, amore – sí, amore! Amore misericordioso, non supplizio di Tantalo, ma univoco pensiero, ed immutabile e innocente, a viso aperto e chiaro e senza macchia! Lascia ch’io t’abbia tutta, tutta mia! Quella forma leggiadra, quella dolce droga d’amore minima, il tuo bacio – mani ed occhi divini, il caldo e bianco lucente seno dalle mille gioie; te stessa, la tua anima, ti supplico per pietà, dammi tutto, non escluso un atomo di un atomo, o morrò, o se forse vivrò, tuo miserando servo, sarà mia vita senza scopo nella foschia della sventura inutile – perduto dal palato della mente il gusto e resa l’ambizione cieca.
chissà se sono abbastanza bella per te o se sono bella e basta cambio ciò che indosso cinque volte prima di vederti domandandomi quali jeans rendano il mio corpo più allettante da spogliare dimmi c’è qualcosa che io possa fare per farti pensare lei lei è tanto straordinaria da far dimenticare al mio corpo di avere ginocchia scrivilo in una lettera e indirizzala alle parti di me più insicure la tua sola voce mi porta alle lacrime il tuo dirmi che sono bella il tuo dirmi che basto
Sono così non ho tempo per i rimpianti gioco con i destini, mi annoio facilmente prometto e non mantengo.
Inutile cambiarmi: La certezza mi è estranea per l’imbarazzo dell’amore per l’immaginazione perché sono devota solo all’indolenza.
Imprevedibili i miei appuntamenti sono una fuga prima del tempo un sole che non basta una notte che mai si schiude sono impetuosi sussulti tra la sete e il dissetarsi.
Sono così un silenzio per raccogliermi, un lento terrore per disperdermi, un silenzio e un terrore per curare una crudele memoria non c’è luce che possa guidarmi: Possiedo solo i miei peccati.
Vivo tra quattro pareti matematiche allineate al metro. Mi circondano apatiche animelle che non conoscono nemmeno un grammo di questa febbre azzurrina che nutre la mia chimera. Uso una pelle posticcia che mi disegno grigia. Corvo che da sotto l’ala guarda un fiore di giglio. Mi fa sorridere il mio becco fiero e torvo, che io stessa mi sento pura falsa e ingombro.
La poesia apre i corpi, li fa incontrare senza indugi. Chi è aperto dalla poesia porta fervore in ogni sguardo. La poesia è candida e bestiale, vuole darsi tutta, non ama freni, è fuori da ogni cella. Incontrare la poesia è come incontrare il centro di una stella.
Si perdevano solo per trovarsi. Si lasciavano per riabbracciarsi. Si odiavano per amarsi. Erano strani quei due. Tanto da farmi credere che il vero amore esistesse.
Uscita dal buio i miei passi hanno calpestato i selciati della trepidazione. E così, per ogni gesto da ricreare, è arrivato il suo momento, ma ogni angolo della casa dice che questa non è più la mia casa. È stato uno strano chiarore a riaprire i miei occhi nella certezza che non tutto muore con noi. Vorresti risentire la mia voce ma quella che ti arriva è difficile da riconoscere, anche se sei stato il mio primo pensiero mentre i giorni andavano e tornavano, secondo la gioia delle nostre occasioni, quando le albe e i tramonti ci adottavano con i loro diversi colori.
Il cortile di casa è stato il primo a salutarmi, lo sguardo è oltre me stessa e tutto s’intona al ritmo tornato dei miei polsi che non si sono più assestati dentro le tue attese, anche se il tuo sguardo, disordine, volpe, siepe spinosa, non ha fatto che aumentare le nostre distanze.
lo, che ho conosciuto il luogo dove non esiste il tempo, ti parlo del tempo che ci resta: prega, se vuoi, gli dei inconsapevoli dell’amore, non pronunciarmi nei tuoi sogni. Allontanati, lasciami così come sono diventata. Io continuerò nella pietra lavata dalla pioggia, nella pietra spaccata dal sole, nella pietra che indica la strada.
E che la prima luce del giorno ci consegni almeno una parte del bene che gli appartiene, e la lontananza non è più una minaccia perché l’ho attraversata, tornando da dove mai nessuno è riuscito a tornare. Accettando l’orizzonte che si schiude, per dissolvermi in un racconto più grande delle nostre vite, del non trascurabile sole. Del mio passo ritornato leggero sulla terra.
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